Oltre 300 miliardi di euro
in titoli di stato italiani sono stati venduti in silenzio senza
tanta pubblicità dai detentori non residenti. Stiamo parlando di una
silenzioso smobilizzo di governativi italiani a colpi di oltre 50
milioni al giorno. Circa due anni fa la percentuale di detenzione dei
titoli di stato italiano in mano ai non residenti superava il
45%, oggi invece siamo scesi al 30%. In borsa ti devi sempre chiedere da
chi stai comprendo e perchè e a chi stai vendendo e perchè. Pertanto
chi ha comprato questo 15% di flottante di debito italiano che è girato
di mano in meno di 18 mesi? Tralasciando una piccola parte di italiani
che hanno voluto fare i patrioti, il grosso lo hanno comprato le banche
italiane (sappiamo anche in che modo hanno foraggiato la provvista), sia
le grandi che le piccole.
Sentiamo
spesso proporre il riacquisto del debito da parte degli italiani, in
modo da sottrarlo alla speculazione finanziaria o al giudizio delle
agenzie di rating: questo sarebbe realmente auspicabile se i detentori finali fossero solo persone fisiche,
ma diventa profondamente inquietante se i detentori finali diventano in
misura rilevante gli istituti di credito italiani.
I titoli di stato potrebbero diventare mine vaganti dentro i bilanci degli istituti: e questa considerazione non è poi così tanto insensata, pensate solamente al caso MPS, la banca con il maggiore quantitativo di titoli di stato in portafoglio.
I titoli di stato potrebbero diventare mine vaganti dentro i bilanci degli istituti: e questa considerazione non è poi così tanto insensata, pensate solamente al caso MPS, la banca con il maggiore quantitativo di titoli di stato in portafoglio.
In
vero per quanta pubblicità e propaganda contraria si faccia, il nostro
sistema bancario non è caratterizzato al momento da credenziali molto
confortanti. Negli ultimi due anni sono migliorati solamente i
coefficienti di patrimonialità (Core Tier 1 superiore al 9%), anche
grazie a mega aumenti di capitale (quasi imposti dall'EBA) e cessione di
attività strategiche (deleveraging). Tuttavia le banche italiane hanno
subito una notevole contrazione della redditività (ROE) e, aspetto molto
più preoccupante, si trovano tra le prime della classe per ammontare di crediti deteriorati
con 108 miliardi di sofferenze accertate su oltre 1.800 miliardi di
finanziamenti (attenzione che questi dati si riferiscono al 2011, l'anno
in corso dovrebbe essere ben peggiore). In aggiunta a questo abbiamo
anche l'elevato rapporto prestiti su depositi, oltre il 140%,
molto in sintonia con i valori delle banche greche o portoghesi (135% e
125%) e molto lontani da quelle tedesche (70%), francesi (100%) o
addirittura spagnole (110%).
Sostanzialmente
per leggere con maggiore semplicità queste statistiche significa che la
percentuale di crediti di dubbia esigibilità in Italia (come dato
medio) si attesta quasi al 10%, contro una media europea del 4%, peggio
di noi stanno solo i greci (la virtuosa Germania si attesta al 2%).
Adesso capite perchè alcuni istituti pagano la raccolta nuova
anche al 5% se vincolata a più anni, adesso capite perchè sono necessari
programmi di contenimento e ristrutturazione dei costi opertivi con
licenziamenti ed esuberi che prima non si erano mai visti. Adesso capite
perchè molte banche hanno subito un pesante downgrade che le ha
trasformate in banche dal rating “speculative” contro il precedente e
rincuorante “investment grade”. Adesso capite, nonostante la nostra
proverbiale maestria italiana a trovare soluzioni e risolvere i problemi
quando ormai siamo con l'acqua alla gola, perchè vi sono grandi
operatori che non si fidano dell'Italia e delle sue banche, o proprio
non ci credono. Cosa aspettate allora: fuggite sciocchi.
E. Benetazzo
fonte: eugeniobenetazzo.com
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