metalli preziosi per proteggersi dal crollo del castello di carte

i metalli preziosi sono il miglior investimento per proteggersi dal crollo del castello di carte

domenica 10 febbraio 2013

perché la guerra valutaria



Perché c’è la guerra valutaria

di Gerardo Coco

La guerra valutaria è la prosecuzione del protezionismo con altri mezzi. Il paese che abbassa il tasso di cambio, il prezzo della sua valuta in termini delle altre, acquista un vantaggio competitivo temporaneo perché riduce in un sol colpo i prezzi dei suoi prodotti e rincara quelli dei paesi importatori. È come se a questi ultimi fosse imposto un dazio trasversale ed indiscriminato. La caratteristica di una guerra valutaria è, come nel vecchio protezionismo, la ritorsione. I paesi aggrediti  reagiscono con controsvalutazioni e la guerra di tutti contro tutti si risolve in un gioco a somma zero.
Il termine guerra valutaria è stato usato per la prima volta nel 2010 da Guido Mantega, il ministro delle finanze del Brasile che ha accusato gli USA di svalutare il dollaro attraverso una politica monetaria espansionista ed esportare inflazione nei paesi emergenti. Il governatore della Bundesbank Jens Weidmann ha di recente criticato l’escalation della “politicizzazione” dei tassi di cambio che si è intensificata con la recente decisione del Giappone di svalutare lo yen. Il primo ministro Shinzo Abe ha lanciato la sua l’offensiva con questa dichiarazione: “ Le manovre dei paesi, in primis l’America, per deprezzare il cambio rafforzeranno inevitabilmente lo yen. È per noi vitale contrastare questa politica” (vedi: “Global Currency Tensions Rise”, Wall Street Journal, 23.12.12). In effetti, dal 2008 in poi le principali banche centrali hanno pompato nel sistema 10 trilioni di dollari (per dare un senso a questa cifra assurda basti pensare che è pari alla somma del PIL della Cina e dell’Italia) con l’effetto di aumentare la tensione nel mercato dei cambi.
Le guerre valutarie non sono una novità nella storia: il deprezzamento monetario è la scorciatoia per aumentare la quota di export sul PIL e accumulare riserve in divise estere per pagare i debiti. La guerra attuale presenta però caratteristiche nuove. A rivelare la meno ovvia è stato, inconsapevolmente, proprio Abe: “Un cambio di 90 yen contro il dollaro (era 84.26), ha affermato, aiuterebbe gli esportatori giapponesi. Se il dollaro è sopra 85, le imprese che fino ad ora non hanno pagato le tasse [perché non essendo competitive non fanno profitti, ndr], ora pagheranno le tasse” [Ibid.]. Traduzione: per un governo super indebitato un settore d’esportazione florido rappresenta fonte di reddito tassabile. Poiché le politiche monetarie e fiscali finora non hanno avuto effetti, non rimane che usare politica del cambio in funzione predatoria all’interno e all’esterno. La svalutazione competitiva è diventata una tecnica per appropriarsi del reddito dei paesi importatori e scaricare sulle loro spalle il servizio di debiti crescenti. Inoltre, poiché con la svalutazione si importa inflazione si debella la deflazione e si riduce il valore del debito interno.
Nella realtà questa guerra fredda, non è altro che un mezzo per evadere l’attuazione di misure impopolari di austerità, come ad es. i tagli alla spesa pubblica. La dinamica della guerra valutaria e le sue conseguenze possono essere comprese solo risalendo alla sua causa originaria: il persistente deficit della bilancia commerciale americana.

Il Trilemma
Durante il periodo di Bretton Woods (1944 al 1971) basato su gold exchange standard (valute convertibili in dollari e dollari in oro), le svalutazioni erano sporadiche perché il mondo godeva di un discreto sviluppo economico e il sistema aureo, pur manipolato, limitava l’inflazione monetaria che precorre la svalutazione. Quando nel 1971 gli USA dichiararono il dollaro inconvertibile imponendo il dollar standard  iniziò l’era del doppio deficit americano, quello di bilancio e quello commerciale. Fino a quell’epoca gli USA erano stati il maggior creditore e esportatore ma la situazione si capovolse. Poiché l’economia mondiale si espandeva e i pagamenti internazionali avvenivano in dollari di cui l’America era l’unico emittente, il solo modo con cui il resto del mondo poteva ottenerli era esportare verso gli USA mantenendo un surplus commerciale nei loro confronti. D’altra parte, per rendere disponibili i dollari, ovvero per garantire la liquidità internazionale, gli USA dovevano esportare dollari verso il resto del mondo e questo era possibile con un deficit commerciale permanente. Il privilegio di emettere la valuta globale permise agli USA di finanziare il gap commerciale semplicemente coniando la valuta, al contrario del resto del mondo che, per importare, doveva esportare. Fu così che gli USA diventarono il maggior importatore e debitore mentre il resto del mondo esportatore e creditore netto, accumulando un eccesso di riserve in dollari.
Fin dai primi anni ‘60 l’economista belga Robert Triffin aveva anticipato le contraddizioni implicite nell’uso di una valuta di riserva unica formulando il famoso trilemma. Secondo Triffin, per un paese dotato di valuta di riserva era impossibile soddisfare allo stesso tempo tre obiettivi: assicurare la liquidità mondiale, avere un deficit commerciale permanente e mantenere la stabilità valutaria. In termini più tecnici, il trilemma è l’impossibilità di combinare insieme una politica monetaria indipendente, un libero movimento di capitali e un cambio stabile. Si possono scegliere solo due opzioni escludendone la terza, incompatibile con le altre. Gli USA, infatti, hanno adottato le prime due ma rinunciato alla terza, la stabilità del dollaro. Il trilemma vale però per tutti. Ad es. la fissazione della parità del tasso di cambio (peg), che è strumento di politica monetaria, non è compatibile con libertà di movimento di capitali. È il caso della Cina che per mantenere la parità col dollaro deve imporre all’interno un controllo dei capitali. Se non lo facesse flussi e deflussi finanziari destabilizzerebbero la parità. Per contro, si può avere libera circolazione di capitali e politica monetaria autonoma insieme, rinunciando però al controllo del cambio che deve fluttuare liberamente. È il caso della sterlina inglese. Infine se si opta per la libera circolazione dei capitali e il cambio stabile, si deve rinunciare ad una politica monetaria autonoma. Ed è il caso dei paesi dell’eurozona. Ma quest’ultimo è diventato anche il caso della Svizzera. Poiché dal  2008 al 2011 il franco si era rivalutato notevolmente rispetto all’euro, mettendo a rischio la competitività svizzera, la Swiss National Bank ha dovuto, impegnarsi a vendere franchi contro euro per impedire la rivalutazione del franco. In altre parole è come se la Svizzera avesse adottato l’euro rinunciando, in conformità al trilemma, a una politica monetaria indipendente.
Il costante deficit commerciale americano che obbliga il resto del mondo ad accumulare riserve in dollari trascina verso il basso la piattaforma valutaria mondiale. Il resto del mondo deve adattarsi alla discesa deprezzando le valute (o impedendone l’apprezzamento) attraverso l’espansione della base monetaria. Il grado di svalutazione di una valuta rispetto all’altra dipende dalle relative velocità di creazione monetaria nei rispettivi paesi, sia che il trilemma implichi un cambio fluttuante sia una parità fissa. Ad esempio, per svalutare la sterlina, è sufficiente che la Banca d’Inghilterra ne aumenti l’offerta e lasci fluttuare il cambio che, deprezzandosi rispetto alle altre divise, permetterà di vendere più prodotti inglesi. Viceversa per rendere i prodotti svizzeri più a buon mercato di quelli europei è necessario  fissare il cambio con l’euro e far aumentare la circolazione dei franchi affinché con meno euro si acquistino più franchi. Quando la Cina aumenta le esportazioni verso gli USA, i dollari che riceve rivaluterebbero lo yuan destabilizzando la parità con il dollaro se la banca centrale cinese non intervenisse creando yuan per comprare l’eccesso di dollari. In sintesi, quando un paese apre il rubinetto della propria valuta il resto del mondo deve fare altrettanto ma ciò significa anche aumentare l’inflazione mondiale, creare bolle finanziarie e squilibri commerciali (global imbanances). Ma c’è dell’altro. Gran parte delle riserve in dollari non restano oziose nelle casse dei paesi esportatori ma ritornano negli USA per essere investiti sopratutto in buoni del tesoro. Pertanto il resto del mondo concorre a finanziare il loro debito. Se ciò non avvenisse il dollaro colerebbe a picco e le riserve delle banche centrali si azzererebbero con perdite enormi. Paradossalmente, mentre tutti sono interessati a mantenere lo status quo verso il dollaro, concorrono a svalutarlo. Il trilemma a cui ogni paese si conforma crea nel sistema monetario un circolo vizioso e un’instabilità esplosiva che rende ogni investimento aleatorio e il futuro sempre più incerto.

Vincitori e vinti
Ciò che è passato inosservato è l’enorme espropriazione di risorse che un’instabile valuta di riserva infligge ai paesi esportatori. Per lungo tempo il resto del mondo non si è reso conto del fatto che i surplus che accumulava era proporzionale alle perdite che subiva perché le sue ragioni di scambio peggioravano a favore del dollaro. Non solo finanziava il debito americano ma abbatteva il valore del suo credito verso gli USA. Il Giappone è stata la vittima più colpita da questo fenomeno. Il maggiore detentore di riserve in dollari per quasi un trentennio, cioè tra il 1974 e il 2000, ha ignorato che oltre due terzi del loro valore era andato in fumo per la corrispondente riduzione di valore del dollaro. Purtroppo Tokio seguì ciecamente la cura dei dottori keynesiani del tesoro e della banca centrale americani che convinsero il paziente che le riserve valutarie non erano necessarie a pagare i debiti dal momento che si poteva farlo ricorrendo ai deficit di bilancio!! L’immenso debito che il Giappone ha accumulato durante quel periodo e la sua rovina si spiegano solo in questo modo. Oggi la decisione di svalutare lo yen che comporta uno stimolo (1.2 trilioni di bond entro il 2014) pari al doppio di quello americano, per un’economia che ne vale un terzo, equivale a sparare sul paziente. Man mano che lo yen si svaluterà gli investitori si disferanno del debito giapponese per comprare quello degli USA e dell’Europa rafforzandone le valute, con ciò intensificando la guerra valutaria. L’eurozona, infatti, con una disoccupazione a livelli record non starà certo con le mani in mano perché un euro forte le prosciugherebbe il reddito da esportazioni, unica fonte di sviluppo rimastale.
Oggi il maggiore detentore di riserve in dollari (3 trilioni) è la Cina e sa bene quanto la sua posizione sia precaria. Ma poiché è diventata la piattaforma produttiva americana e un hub industriale che produce oltre il 20% della produzione mondiale ha creato le premesse per candidare lo yuan/renminbi a valuta di riserva convertibile. Prevedendo la crisi valutaria sta diversificando le sue riserve in particolare con l’oro di cui è diventato anche il maggior produttore mondiale e il cui uso è incoraggiato nel paese. Alla fine, potrebbe essere proprio il metallo giallo l’unico vero vincitore di questa guerra assurda.
È significativo il fatto che le riserve mondiali di dollari da un picco del 71.5% nel 2001 siano scese al  62% nel 2012. Questo significa che il mondo si sta avviando verso un sistema di riserve multiple in concorrenza fra loro. Il dollaro canadese e australiano sono già state classificate dal FMI come valute di riserva. Ma qualunque sia il nuovo ordine monetario mondiale, sarà la Cina a dettare le condizioni. I suoi recenti accordi di scambi commerciali con l’Arabia Saudita e le altre nazioni arabe per diversi miliardi di yuan e il fatto che fra i BRICS le transazioni non avvengano più in dollari, sono sintomatici della decadenza del biglietto verde che potrebbe retrocedere a semplice valuta locale. Con la conseguenza che, se Londra è stata la capitale finanziaria del XIX secolo, New York del XX, Shanghai potrebbe diventare quella del XXI. Ma, tale evoluzione, se avverrà, dovrà attraversare una perturbazione mai vista prima d’ora nella storia mondiale. L’attuale guerra valutaria non è una via d’uscita alla crisi per nessuno.
È l’equivalente di una reazione nucleare incontrollata e inarrestabile che renderà il mondo sempre più inospitale a chi vuol produrre, risparmiare creando ricchezza e lavoro. Alla fine il sistema monetario esploderà perché senza valute stabili e affidabili l’economia mondiale non può funzionare. 
Tuttavia la maggior parte dei governi continua a ignorare la realtà. Ma non potrà ignorarne le conseguenze.

fonte: chicago-blog.it 

vedi anche: Who Will Win The Currency Wars?


Nessun commento:

Posta un commento