metalli preziosi per proteggersi dal crollo del castello di carte

i metalli preziosi sono il miglior investimento per proteggersi dal crollo del castello di carte

lunedì 22 aprile 2013

probabile frode da parte della LBMA


(...) Oltre a ragioni macroeconomiche, il crollo dell’oro verificatosi venerdi’ scorso e all’inizio di questa settimana è stato causato da movimenti ribassisti prettamente speculativi.

Le grandi vendite di oro cartaceo

L’inizio del cedimento è avvenuto venerdì sui mercati a termine statunitensi. Un ordine di vendita pari a 6 miliardi di dollari americani (ovvero per 124,4 tonnellate di oro – equivalenti a 4 milioni di once) ha causato il declino dei prezzi. L’ordine di vendita è stato piazzato da fondi speculativi riconducibili a Merrill Lynch. Non si trattava di oro fisico, ma di oro di carta (paper gold).
Questo primo ribasso è stato amplificato da una seconda ondata di vendite sui mercati a termine sintetici per lo stratosferico ammontare di 15 miliardi di dollari (equivalenti a 300 tonnellate di oro). Il tutto si è svolto nell’arco di soli 35 minuti di contrattazioni. Hedge funds, bullion banks, grandi fondi d’investimento, possono manipolare il prezzo dei metalli preziosi agendo sui mercati futures, costruendo un enorme castello di posizioni “corte” in vendita (short position). Questi fondi agiscono con leva finanziaria pari a 20:1.
E’ esattamente quello che è accaduto venerdi.
Da venerdì scorso a lunedì abbiamo riscontrato ordini di vendita sui mercati futures pari a 400 tonnellate di oro. 400 tonnellate di oro sono equivalenti al 15% della produzione annuale di metallo giallo. I ribassi sono amplificati all’inverosimile dalle vendite allo scoperto (naked short) e dai software di compravendita automatizzata (high frequency trading).
Ricordiamo che i magazzini del COMEX (mercato a termine sintetico di New York) riscontrano il maggior calo delle scorte da settembre 2009. Nei primi tre mesi di quest’anno i cali sono stati quasi superiori al 17% portando le scorte a un minimo di 286,60 tonnellate metriche di oro. I fondi speculativi e le bullion banks in meno di due giorni di trading hanno venduto oltre 524 tonnellate di oro di carta (paper gold), quasi il doppio delle riserve fisiche detenute al COMEX.
La richiesta fatta dai brokers (intermediari) dei mercati a termine ai propri clienti (fondi speculativi) di integrare i “margin calls” ovvero i depositi in garanzia che i fondi costituiscono per potere operare in questi mercati, ha autoalimentato la furia ribassista delle quotazioni. Quando sui mercati si instaurano forti pressioni ribassiste, i brokers dei mercati a termine richiedono l’aumento dei margini di garanzia per evitare di sostenere le perdite dell’investitore- cliente.
E’ evidente che coloro i quali hanno orchestrato l’attacco ribassista avevano previsto che i brokers, visti i consistenti ribassi delle quotazioni, avrebbero richiesto ai loro clienti le integrazioni ai depositi (margin calls) scatenando quindi ulteriori vendite da “stop loss”.  E’ stato un chiaro attacco di “guerra psicologica”.
 Il fine dell’offensiva contro i preziosi e’ indubbio: screditare il loro ruolo di “bene rifugio” ed evitare una fuga di capitali in oro e argento, trattenendoli presso il sistema finanziario.  A questo punto stabilitosi un clima di “panic selling” sono scattati i software di compravendita automatizzata che hanno fatto partire gli “stop loss” (stop alle perdite), quindi il crollo si è trasformato in una vera e propria valanga.

Contestualmente al crollo dei prezzi dell’oro sui mercati futures di New York, la LBMA di Londra (la piattaforma ove si compera e vende il metallo fisico reale) bloccava fraudolentemente ogni tipo di acquisto adducendo come giustificazione un improvviso guasto tecnico al sistema. 

Pertanto la LBMA “congelava” di fatto gli acquisti e le vendite di metalli preziosi fisici. I detentori di oro e argento fisico non potevano più operare, né  in acquisto né in vendita. In pratica, per non essere travolti dalle perdite, i possessori di metalli fisici sono dovuti ricorrere ai mercati sinteci “futures” alimentando le posizioni in vendita – “short” (per poi riconvertirle in “lunghe” – acquisto – non appena il mercato fisico si fosse sbloccato). Questo ha ulteriormente dilatato la pressione ribassista sulle quotazioni.
Il congelamento del mercato fisico alla piattaforma della LBMA sembra essere stato orchestrato con il fine di esasperare le vendite da panico (o comunque si tratta certamente di una inusuale “coincidenza”). L’unico evento che può approssimarsi a quello accaduto venerdì 12 e lunedì 16, uguale per intensità e virulenza ribassista, è accaduto il 19 ottobre 1987.
In quella occasione la Bank of England, sotto pressione congiunta della Fed e del Dipartimento del Tesoro Statunitense, fu costretta a prendere in prestito un rilevante stock di oro dal Fondo Monetario Internazionale per rivenderlo successivamente sul mercato e farne crollare le quotazioni.  L’impatto ribassista fu rilevante: in una sola giornata le quotazioni dell’oro calarono di oltre 100 dollari.
La Bank of England per innescare l’effetto “vendite da panico” (panic selling) dovette però vendere oro fisico, non oro di carta. Al contrario della fase odierna, i mercati dei derivati (sebbene già sviluppati), non erano ipertrofici come quelli odierni.

Dietro questo attacco premeditato ci sarebbe la Federal Reserve e le sue politiche di sostegno indiscriminato al dollaro e il suo status di “valuta di riserva mondiale”. L’opinione è del Dr. Paul Craig Roberts, ex Assistente al Dipartimento del Tesoro con i governi Reagan. Secondo il Dr. Roberts la Fed avrebbe fatto filtrare la voce alle grandi case di brokeraggio (Goldman Sachs, Merrill Lynch), che molti hedge funds e altri grossi investitori stavano alleggerendo le proprie posizioni su oro e argento. Queste a loro volta avrebbero suggerito ai clienti di ridurre drasticamente gli investimenti nei metalli preziosi, contribuendo attivamente all’inizio del calo.
I media mainstream hanno motivato il ribasso adducendo il fatto che alcuni Stati Occidentali fortemente indebitati (tra cui l’Italia), sarebbero costretti a svendere le riserve auree sul mercato per fare fronte ai propri debiti. Tesi priva di qualsivoglia fondamento; argomentazione esposta in malafede o giocata sulla mancanza di conoscenza del mercato dei metalli preziosi da parte del grande pubblico.
Le Banche Centrali Occidentali non posseggono tutte le riserve che dichiarano di detenere. Parte delle stesse, negli anni scorsi, sono state date in prestito come collaterale o ipotecate per altre operazioni finanziarie. Parte sono collocate fuori dal territorio nazionale e non se ne ha la immediata disponibilità.
Prendiamo l’esempio della Germania. La Bundesbank ha chiesto il rimpatrio di 300 tonnellate di oro dagli USA. Gli Stati Uniti restituiranno quanto richiesto dai tedeschi nel lasso di tempo di 7 anni. E’ evidente che non ne sono in possesso, altrimenti non avrebbero atteso 7 anni per restituirle. Oppure, se ne sono in possesso, ne centellinano la consegna in modo tale da detenere sul proprio territorio la maggior parte di riserve possibili in caso di stress finanziario. In secondo luogo, anche se gli Stati in difficoltà dovessero svendere sul mercato parte delle riserve auree, la domanda sarebbe assorbita facilmente dalla Cina. Il Paese del Dragone possiede riserve in dollari americani tali da acquistare tutto l’oro detenuto dalle Banche Centrali, per ben due volte.

  Riccardo G.  - Deshgold





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