Il Passaparola di Lucio di Gaetano, ex-dipendente Banca d'Italia
"Sono Lucio Di Gaetano, nella vita mi sono sempre occupato di banche,
per cinque anni ho lavorato in Banca di Italia, per altri sette ho
lavorato nel settore privato e ora faccio il consulente di azienda.
Sono qui per parlarvi della fregatura che il governo Letta, di nascosto,
mentre si dichiarava la decadenza di Berlusconi ha fatto a danno di
tutti gli italiani, attraverso il decreto sulla rivalutazione delle
quote della banca di Italia, per avere 900 milioni di Euro senza sforare
il tre per cento del deficit. Ne regaleremo 450 all’anno agli azionisti della Banca di Italia, che come sapete sono privati.
Ma facciamo un passo indietro, perché la banca di Italia nella
governance ha azionisti privati? Perché c’è questa situazione da mondo
di Oz dove un istituto di diritto pubblico è partecipato da banche
private che sono detenute da fondazioni controllate dai partiti?
La Banca di Italia nasce nel 1893 ed è completamente detenuta da
azionisti privati, all’epoca si usava così. Nel 1926 il governo fascista
la pubblicizza e espropria i suoi azionisti. Successivamente le quote
del capitale della Banca di Italia vengono cedute alle banche, nel
frattempo pubblicizzate a causa della crisi degli anni '30. Nel '93, a
seguito della crisi finanziaria il governo Amato concepisce un mostro giuridico,
la privatizzazione delle banche italiane mediante la'attribuzione delle
loro quote di controllo alle fondazioni nominate dai partiti.
Il grosso del capitale viene quotato in borsa e di conseguenza oggi ci
troviamo nell’azionariato della Banca di Italia, banche che agiscono con
logiche di soggetti privati.
Per fortuna il mostro in passato è stato in qualche modo limitato,
perché? Perché la ripartizione degli utili prodotti dalla Banca di
Italia è sempre stata riservata in minima parte ai suoi azionisti
privati, non più dello 0,5 per cento delle riserve, che ammontano più o
meno a 22 miliardi di Euro. Per cui anni buoni e anni cattivi non hanno
consentito agli azionisti di prendere più di 50 - 70 milioni di Euro
all’anno dal capitale della Banca di Italia, che non si è mosso dalla
cifra originaria di 156 mila Euro con cui era stato valorizzato.
Nel 2005 il governo Berlusconi stabilisce che le quote nel capitale della Banca di Italia, detenute da
soggetti non pubblici debbano passare entro tre anni allo Stato.
Sono passati otto anni e quella legge è rimasta inattuata.
Il 27 novembre notte tempo, mentre il Parlamento dichiara la decadenza di Berlusconi e tutti i cittadini sono distratti, Saccomanni fa una clamorosa marcia indietro, con un decreto legge
stabilisce che la Banca di Italia non sarà più destinata a diventare un
istituto di diritto pubblico detenuto dallo Stato, ma una public company, ovvero una società a azionariato diffuso con azionisti tutti privati.
Inoltre, il capitale della Banca di Italia passerà dagli attuali 156 mila Euro a 7,5 miliardi di Euro,
con un forte vantaggio patrimoniale per tutti partecipanti, che saranno
obbligati a pagare una imposta, per di più agevolata, del 12%, e
avranno, poi, tutto il tempo per eseguire l’obbligo di vendita della
quota eccedente il 5% eventualmente detenuta, con una fortissima
plusvalenza.
E torniamo alla fregatura di cui parlavamo all’inizio, la cosa più
importante è che fino a oggi la Banca di Italia non poteva distribuire
un utile superiore al 10% dell’attuale capitale sociale, di 156 mila
Euro, più una quota delle riserve, che per prassi non superava mai lo
0,5 per cento all’anno.
Nel progetto del governo Letta questo limite viene alzato al 6% del nuovo capitale sociale di 7,5 miliardi di Euro, vale a dire ben 450 milioni di utili distribuibili all’anno.
Non è cosa di poco conto, perché se i grandi banchieri possono brindare a
champagne i cittadini non hanno proprio nulla da festeggiare! Quei 450
milioni, se non fossero dati ai banchieri privati andrebbero dritti
nelle casse dello Stato. Come è stato fino a oggi.
Lucio di Gaetano
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