2013 e oltre 
di Gerardo Coco
Stiamo attraversando una delle crisi più profonde della Storia. Neppure 
nel corso delle due guerre mondiali il debito dei paesi industrializzati
 aveva raggiunto una dimensione così elevata come l’attuale e tale da 
impedirne lo sviluppo. Tuttavia, i governi degli USA, Europa e Giappone 
mirando al mantenimento dello status quo trasferiscono il costo dei 
debiti alle loro economie sottraendole le risorse per superare la 
recessione. I bassi tassi di interesse incoraggiano ulteriore debito 
mentre continui stimoli monetari deprezzano le valute. 
All’orizzonte si 
profila un collasso generale. Si tratterebbe solo di indovinarne la 
forma e l’epicentro. Si è già raggiunto il punto di non ritorno o lo si 
può ancora evitare? Una prognosi sul futuro richiede prima di tutto un 
approfondimento dell’interazione tra inflazione e deflazione, le due 
forze opposte che oggi si scontrano sulla scena del dramma economico. 
(...)
La scena del dramma
A partire dal 2008 la base monetaria dei paesi sviluppati è aumentata
 in proporzione al debito e in sproporzione alle economie ma 
l’inflazione è rimasta confinata al settore finanziario.
Affinché si 
manifesti nell’economia reale occorre che il denaro venga effettivamente
 speso.
Finora il credito è stato erogato solo ai sistemi bancari per 
risanarne le perdite e permettere ai governi nuova spesa. L’inflazione 
quindi è rimasta contenuta. D’altra parte poiché rimane superiore ai 
tassi di interesse nominali, i tassi reali risultano negativi 
incentivando l’indebitamento. Ma in termini economici, la soppressione 
dei tassi comporta una valutazione dei beni futuri minore di quella dei 
beni presenti e ciò significa dilapidazione del presente rispetto al 
futuro. Significa quindi 
arresto del processo di accumulazione e 
decadenza industriale. Proprio quello che accade negli USA, Europa e 
Giappone.
(...) I fallimenti a catena, la diminuzione della produzione, del reddito e 
della spesa aggregata e il processo generale di liquidazione per 
ripagare i debiti ha provocato il calo del livello dei prezzi e quindi 
una contrazione monetaria. Per compensarla le banche centrali acquistano
 debito dai governi in cambio di liquidità: se anche i governi non 
spendessero, la totalità dei mezzi di pagamento crollerebbe portando 
alla depressione. 
Tuttavia, la continua monetizzazione non è una cura 
perché mantiene l’economia nell’occhio del ciclone. Ma non può restarci 
in eterno. Per cui, delle due l’una: o l’economia sprofonderà nel buco 
nero della depressione o sarà spinta nel vortice inflazionistico. 
Tertium non datur. In regime di debito crescente e tassi a zero o al di 
sotto, 
lo sviluppo non è un opzione, è un’impossibilità.
(...)
Il baratro valutario
La coesistenza di inflazione e deflazione è implicita nel sistema 
monetario attuale dove le monete sono funzione del debito. 
Se le monete 
rappresentano una passività non è logicamente possibile che, a livello 
economico complessivo, possano estinguere altre passività. Per cui, allo
 stato attuale il debito è indomabile. Se il valore delle monete dipende
 dal valore del debito quest’ultimo ha un valore che dipende dalla 
solvibilità del debitore. Ma chi la garantisce? La garantisce l’economia
 reale soggetta a prelievo fiscale forzoso. Se l’economia, crescendo, 
garantisce un buon prelievo fiscale la domanda di debito sale insieme a 
quella della moneta in cui è denominato. Ma un’economia in recessione 
mettendone in questione la solvibilità ne fa calare la domanda. Per 
stimolarla occorre offrire agli investitori tassi più alti che farebbero
 aumentare il costo del debito, per cui le banche centrali lo mantengono
 basso  assorbendo tutta l’offerta di debito. Il suo valore nominale 
sale di nuovo ma quello reale scende perché la sua grandezza cresce più 
velocemente rispetto al calo del PIL, segnalando nuovo rischio di 
insolvenza e inflazione. 
Queste fluttuazioni monetarie continue 
provocano le scosse che preludono al collasso. Questo non è mai un 
processo lineare ma ondulatorio e si sviluppa nel corso degli anni per 
erompere all’improvviso senza preavviso. Segue la legge fisica della 
risonanza: continui stimoli monetari provocano oscillazioni nei valori 
sempre più forti fino a far crollare l’intera struttura economica.
Infatti, il rischio di detenere attività finanziarie, che non sono 
altro che passività di terzi, potrebbe diventare così elevato da indurre
 gli investitori a sbarazzarsene definitivamente facendole precipitare 
al valore intrinseco: lo zero.
A quel punto i tassi di interesse 
andrebbero alle stelle facendo crollare definitivamente il castello di 
carta del debito. L’aggregato monetario collasserebbe provocando il buco
 nero della depressione. Le banche centrali per impedirla dovrebbero 
irrorare il sistema economico di liquidità che comincerebbe a far 
lievitare i prezzi. La speculazione, allora, ne amplificherebbe 
l’aumento dirigendosi verso tutto ciò mantiene il potere d’acquisto e 
non è soggetto a default, in particolare le materie prime, il cui valore
 schizzerebbe rispetto alle monete già deprezzate sia dai deficit 
fiscali che dalle svalutazioni competitive per ridurre i deficit 
commerciali.
Non si può quindi escludere che un deprezzamento valutario estremo 
possa provocare iperinflazione spingendo il costo di tutte le cose a 
livelli stratosferici.
(...)
Si obietta che, oggi, a differenza del passato, questo scenario 
estremo può essere evitato grazie all’ingegneria finanziaria e al 
maggior coordinamento delle banche centrali. Ma è illusorio che le 
stesse azioni foriere di catastrofi possano prevenirle. L’unico potere 
che hanno è di ritardarne gli effetti rendendoli più devastanti.
Prevenire il collasso
Non è possibile predire se il crollo del debito avvenga prima per 
depressione o per iperinflazione o per il loro concorso nella forma di 
depressione inflazionistica. L’esito dipende anche dalla situazione 
geopolitica. La prospettiva di un’estensione di un conflitto in 
qualsiasi parte del globo favorirebbe l’olocausto valutario con 
l’annullamento d’ufficio dei debiti.
Quale sarebbe la prima area a soccombere? L’eurozona è l’area più 
fragile politicamente ed economicamente. A differenza del dollaro che 
serve ad acquistare il petrolio che ne sostiene la domanda, la moneta 
unica non ha sostegni. Non può neppure contare, come nel caso del 
Giappone, su quel surplus commerciale che impedisce ancora la 
svalutazione dello yen. Poiché le politiche di austerità la stanno 
avviando alla depressione è difficile che l’eurozona possa diventare 
l’epicentro di un processo di  iperinflazione. Gli USA, al contrario, 
dove la politica di crescita si accompagna a una monetizzazione folle, 
 potrebbero diventarlo. Ma 
il collasso della valuta di riserva 
trascinerebbe con sé tutte le altre valute.
L’inflazione è una forza incontrollabile e irreversibile. La 
deflazione, invece, può essere controllata evitando il baratro 
valutario. Essa è la purga che l’organismo economico deve subire per 
espellere i veleni accumulati in precedenza con l’inflazione. Una 
deflazione controllata prelude ad una ripresa autentica perché riallinea
 tutti i valori alla realtà economica, l’aggregato monetario si riduce, i
 tassi di interesse calano in modo naturale, il livello del debito 
diventa sostenibile e la rivalutazione dell’unità monetaria è proprio 
l’antidoto alla depressione. Infatti, quando la quantità di moneta tende
 a essere misurata in termini di potere d’acquisto corrisponde a maggior
 denaro e quindi a maggiore liquidità disponibile. Si osservi, qui, la 
differenza tra il sistema monetario attuale e quello aureo. 
 
A seguito di
 un default il denaro svanisce letteralmente; la moneta vera, l’oro, non
 scompare mai: una volta in circolazione vi rimane e non viene annullata
 dai default.  
 Per questo motivo stabilizza anche i tassi di interesse. 
(E’ errata pertanto la critica che gli si rivolge di provocare la 
depressione, al contrario la evita).
L’unico modo di evitare un eventuale collasso è quindi pianificare la
 deflazione senza farla degenerare in depressione. Questo processo 
richiederebbe tre azioni simultanee. Primo: l’intervento per 
rinegoziare, condonare o compensare i debiti reciproci fra le nazioni. 
La politica deve riconoscere che i debiti nella loro attuale dimensione 
non potranno mai essere ripagati e pertanto finirebbero per essere 
eliminati solo da default violenti portando alla depressione. Secondo: è
 necessario deflazionare la spesa di governi e abbassare la pressione 
fiscale almeno nella stessa misura della riduzione della spesa. Terzo: 
le banche dovrebbero svalutare tutti i crediti inesigibili iscritti in 
bilancio a valori fittizi. Senza questa pulizia non saranno mai in grado
 di operare normalmente, finanziare l’attività industriale e attirare 
capitale. Il riconoscimento dell’entità reale delle perdite è il 
presupposto per la ricostruzione finanziaria del sistema bancario che, 
per essere in grado di erogare di nuovo il credito, deve prima 
riceverlo. Nessun investitore è infatti disposto ad impiegare fondi 
nelle banche per ripianarne le perdite. Il processo di ristrutturazione 
darebbe un segnale forte al mercato che, in presenza di valori reali, 
ritroverebbe la fiducia per reinvestire nelle attività produttive. 
L’unità monetaria si apprezzerebbe rivalutando i risparmi e tramutandoli
 in capitali per finanziare le economie. Naturalmente i problemi non 
sarebbero finiti, perché finché il denaro sarà basato sul debito sarà 
anche soggetto ad abusi e le crisi si ripeterebbero.
Allora il processo 
di raggiustamento dovrebbe contemplare il ritorno alla moneta vera, 
quella che, non rappresentando il debito di nessuno, è immune da 
default: l’oro. 
Prima di essere rimonetizzato dovrebbe essere utilizzato
 per la ricapitalizzazione del sistema bancario, condizione per 
ristabilire la solvibilità di quello economico.
Purtroppo i governi, opponendosi come sempre a tali ristrutturazioni 
continueranno a inflazionare illimitatamente le monete per mantenere 
l’illusione dello sviluppo e preservare la propria esistenza. Eppure 
basterebbe che consultassero la storia per sapere come andrà a finire.
fonte: chicago-blog.it