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venerdì 14 dicembre 2012

la rischiosa mossa della Fed


Quanto sta rischiando la Fed con la sua ultima mossa?
L’annuncio di martedì scorso da parte della Federal Reserve finirà nei libri di storia, almeno in quelli che si occupano di banche centrali e di politica monetaria. Segna la più grande rivoluzione nell’attivismo, nel coinvolgimento e nelle aspirazioni di una banca centrale. È allo stesso tempo una mossa rischiosa, che porta l’istituzione più in profondità in un territorio sperimentale e politico.

La Fed ha fatto due passi mercoledì scorso, uno atteso e l’altro no. In primis ha aggiunto un’enorme quantità di denaro al suo previsto piano di acquisto dei titoli di stato sul mercato, che raddoppierà e raggiungerà quota mille miliardi di dollari nel 2013. Secondo, la Fed è passata a fissare obiettivi “quantitativi” (disoccupazione e inflazione) di politica monetaria, e lo ha fatto molto prima del previsto, data la complessità teorica e pratica dell’operazione. Questo ulteriore balzo in una politica monetaria sconosciuta è stato motivato dal prolungata delusione per quanto riguarda fiacca crescita e dalla preoccupazione relativa al crescente tasso di disoccupazione, che sta diventando un elemento strutturale dell’economia.
È altrettanto ovvio che la paralisi politica potrebbe portare gli U.S.A. a un’altra recessione. L’accelerazione nell’implementazione della politica monetaria potrebbe riflettare il desiderio della Fed di assicurarsi una polizza assicurativa aggiuntiva.

La Fed sta facendo di tutto nel suo tentativo di supportare artificialmente i prezzi per stimolare gli investitori a prendersi maggiori rischi. La brutta notizia è che l’istituzione, con i suoi strumenti imperfetti in una mano, e nell’altra la totale assenza degli altri enti federali, potrebbe portare un peso insostenibile.
Primo, come ha riconosciuto Bernanke, gli esiti dell’inconsueto attivismo della Fed non sono né prevedibili né a costo zero. A benefici attesi incerti si accompagna un crescente rischio di danni collaterali e di conseguenze non volute. E il delicato bilancio diventa meno favorevole ogni volta che la Fed sente di dover agire ancora perché le mosse precedenti non hanno avuto risultati sufficienti.
Secondo, il progressivo coinvolgimento della Fed è fondamentalmente incoerente con il funzionamento appropriato dell’economia di mercato. Con una quota di mercato che alla fine del 2013 oscillerà tra il 30 e il 45%, a seconda dei titoli, la Fed è pesantemente coinvolta sia come giocatore che come arbitro. E dunque distorce il suo funzionamento, il processo di formazione del prezzo e l’allocazione del capitale. Terzo, tutto questo minaccia la credibilità istituzionale e la legittimità della Fed, oltre a esporla a un’enorme interferenza politica e irritare gli amici e gli alleati dell’America.

Se volesse ulteriormente arrischiarsi a usare metodi sperimentali la banca centrale sarebbe troppo sovraccarica per riuscire a produrre un risultato economico duraturo e sostenibile. La cosa migliore che può fare è prendere tempo per i nostri politici, incapaci di trovare un accordo lungimirante.

Lasciateci sperare che la nuova finestra dell Fed sarà usata bene da Washington, e che il Congresso finalmente si assumerà le sue responsabilità nella gestione economica del Paese. Se tutto questo non dovesse accadere, l’economia potrebbe ritrovarsi peggio di prima: non riuscendo a generare un’elevata crescita, non creando posti di lavoro, ulteriormente colpita dalle distorsioni del mercato e dall’allocazione inefficiente dei capitali e avendo danneggiato la credibilità, la legittimità e l’efficienza della Fed.



Mohamed El-Erian
(amministratore delegato di Pimco, il principale fondo obbligazionario del mondo)


articolo completo su: finance.fortune.cnn.com  

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