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venerdì 13 settembre 2013

vicini di casa giustamente preoccupati

un serio richiamo da parte dei nostri vicini di casa svizzeri:

Un'Italia nel mondo dei sogni



Una cancellazione di parte del debito pubblico oppure l’uscita dall’euro sono le uniche soluzioni della crisi italiana. Eppure di tutto ciò non si parla. 

Il Paese è sull’orlo del burrone, ma il Governo sostiene che le prospettive economiche stanno migliorando e che già alla fine di quest’anno si comincerà a manifestare una ripresa dell’economia.
Intanto, l’attenzione dell’opinione pubblica è tutta concentrata sulla possibile decadenza di Silvio Berlusconi e quindi su una possibile crisi di Governo. Insomma, si sta cercando di infondere ottimismo, dimenticando i problemi di un Paese oberato da oltre 2mila miliardi di euro di debito pubblico e di un’economia che – stando all’OCSE – anche quest’anno si contrarrà dell’1,8%. I dati del secondo trimestre di quest’anno indicano che la recessione continua a mordere e che il PIL si è contratto dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e del 2,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.



Ma nessuno vuol guardare al di là del proprio naso. Quindi dimentica allegramente che si devono scovare ben 4 miliardi di euro entro la fine dell’anno per compensare la seconda rata dell’IMU, per finanziare la Cassa integrazione e per evitare l’aumento dell’aliquota dell’IVA. Completamente ignorato è inoltre il problema del debito pubblico che costa solo per il pagamento degli interessi circa 100 miliardi di euro ogni anno. Questi dati di fatto e le incertezze politiche hanno nel frattempo fatto inerpicare i rendimenti dei titoli decennali italiani ad un livello superiore a quello dei titoli analoghi spagnoli. Mentre a Roma si attende che “lo stellone” salvi l’Italia, sarebbe invece opportuno cominciare a discutere delle prospettive a medio e a lungo termine del Paese, anche perché tutto lascia presagire che si stia esaurendo il periodo di tregua offerto dai mercati finanziari

Inoltre il Paese non è chiamato solo a contenere il disavanzo pubblico al di sotto del 3%, ma a riportare i conti in pareggio e – stando al Fiscal Compact – a riportare il debito pubblico al 60% del PIL nell’arco dei prossimi venti anni. Si tratta – come abbiamo spesso scritto – di un’impresa impossibile. Dunque, per l’Italia già sofferente per le politiche di austerità occorre prendere il diavolo per le corna. E in questo caso le alternative appaiono sostanzialmente due.
La prima è quella di ristrutturare (cancellare) parte del debito pubblico, come ha suggerito il collega Marcello Foa. Infatti si tratterebbe di una specie di Giubileo, in cui si rimettono i debiti. In questo modo si ridurrebbe sostanzialmente il costo del debito (onere per interessi) e si darebbe allo Stato quello spazio di manovra (se accompagnato dalle indispensabili riforme strutturali) per rilanciare l’economia.
 
Il grande problema di questa soluzione è che oggi gran parte dei titoli del debito sono detenuti dalle banche e dai risparmiatori italiani. Quindi, una ristrutturazione del debito provocherebbe immediatamente una crisi bancaria e un notevole impoverimento soprattutto dei piccoli risparmiatori. Dunque lo Stato sarebbe chiamato a salvare e a ricapitalizzare le banche, annullando in gran parte gli effetti positivi della ristrutturazione del debito pubblico. Si tratterebbe di nuovo di un gioco delle tre carte.
La seconda soluzione è la spaccatura dell’Unione monetaria e l’uscita dell’Italia dall’euro. In questo caso Roma riconquisterebbe la propria indipendenza monetaria e potrebbe monetizzare il proprio debito, come stanno facendo le banche centrali di Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna. Inoltre, la probabile svalutazione della nuova moneta italiana ridarebbe fiato alle imprese e soprattutto all’industria di esportazione. Vi sarebbe il pericolo dell’inflazione, ma nelle attuali condizioni economiche del Paese e dell’economia mondiale la spinta al rialzo dei prezzi sarebbe molto probabilmente meno forte di quanto molti temono.
Di tutto ciò non si discute in Italia, anche perché rimettere in discussione il progetto europeo è una specie di tabù. Ma questo atteggiamento è destinato a mutare poiché la crisi dell’euro non è affatto finita. Infatti la Grecia ha bisogno di nuovi aiuti miliardari, in Portogallo diventa sempre più precaria la situazione politica, il Governo irlandese si rifiuta di fare nuovi sacrifici e persino l’Olanda si sta ribellando ai diktat di Bruxelles che chiede una sforbiciata dei conti pubblici.
Tutto lascia prevedere che quest’autunno si riaprirà la crisi italiana e quella dell’euro e che quindi potrebbe maturare un cambiamento di attitudine nei confronti dell’Unione monetaria a tutto beneficio dell’economia del Vecchio Continente.

fonte: ticinonews.ch  

 

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