sabato 13 agosto 2016

un mercato da 5mila miliardi




Banche d’affari alla guerra dell’oro. Un mercato che vale 5 mila miliardi


articolo di Giuseppe Bottero

fonte:  La Stampa di Torino

Wall Street ha appena centrato un triplice record grazie alla corsa dei consumi e al rally del petrolio, eppure le sue regine, Goldman Sachs e JpMorgan, si danno battaglia sul più antico e affidabile dei beni rifugio: l’oro. Fedeli al vecchio motto dell’antiquario Alessandro Morandotti, secondo cui «chi detiene l’oro detiene il potere», le banche d’affari incrociano le armi sul sistema che, da quasi un secolo, viene usato per fissare il prezzo del metallo giallo.  

Da una parte, racconta il Financial Times, c’è Goldman Sachs: assieme ai cinesi del colosso statale Icbc, punta a rivoluzionare il «Fixing». Dall’altra Jp Morgan e Hsbc, pronte a sostenere la London Bullion Market Association, il mercato dell’oro della City che vale almeno 5mila miliardi di dollari e lotta per conservare il suo ruolo chiave, migliorando però la trasparenza.  

ISTITUZIONE STORICA  
Per capire la posta in palio, bisogna fare un passo indietro. Se fino a un anno e mezzo fa il valore dei preziosi veniva fissato due volte al giorno da un piccolo gruppo di banche, esattamente come nel 1912, quando Rothschild e altri istituti crearono il «London Gold Fixing», un’istituzione ristretta ed elitaria ma in grado di resistere agli scandali e alle accuse di opacità, oggi quel metodo è stato rimpiazzato da un sistema elettronico. Basta a garantire l’indipendenza? Secondo Goldman, probabilmente la banca più influente quando si parla di materie prime, no, visto che la maggior parte delle negoziazioni viene ancora fatta privatamente. La situazione potrebbe finire se passasse la linea dell’istituto e dei suoi alleati cinesi, che immaginano una piattaforma di scambi aperta. «Il mercato di Londra non si evolve da decenni, senza cambiamenti rischia il declino», attacca Raj Kumar, capo analista di Icbc, l’istituto controllato direttamente da Pechino.  

L’OMBRA DEI CINESI  
Il suo affondo è tutt’altro che casuale: la Cina è il primo produttore e consumatore di oro, e sta tentando di costruire un «benchmark» regionale asiatico indipendente da quello tradizionale, strappando lo scettro alla Gran Bretagna.  
I sostenitori delle contrattazioni tra privati, da Jp Morgan in giù, spiegano invece che la mancanza di una piattaforma di trading favorisce la flessibilità e rende meno costose le transazioni. Ovviamente, dicono, bisogna migliorare la trasparenza.  

DOMANDA RECORD  
Sullo sfondo, la ritrovata popolarità del metallo giallo, che in un anno ha visto volare i prezzi del 26% spinto dalle performance negative dei mercati azionari europei e dalle incertezze provocato dalla Brexit. La domanda mondiale, nel secondo semestre dell’anno, ha raggiunto le 1.050 tonnellate, contro le 910 tonnellate dello stesso periodo del 2015. Ovvio che, controllare un tesoro del genere, sia diventato il più prezioso degli affari.  

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