lunedì 6 aprile 2015

il vitello d'oro e la tomba di Mosè


I retroscena e i misteri dietro la storia del vitello d'oro e della tomba di Mosè, secondo i più recenti studi biblici.


Analizziamo la ben nota vicenda delle piaghe a seguito delle quali il Faraone concede a Mosè e ai suoi di uscire dall’Egitto per andare a onorare il loro Dio.

L’elemento che qui ci interessa è l’oro, la sua importanza, l’evidente necessità di accumularlo.

Quando si preparano per partire e lasciare definitivamente l’Egitto, Yahweh fa un’osservazione e impartisce una disposizione precisa; dice che non li farà partire “a mani vuote”, ma soprattutto ordina (Esodo 3,21 e segg.)

In sostanza, per un viaggio che ufficialmente doveva durare tre soli giorni, Yahweh fa in modo che il suo popolo esca dal paese con un carico d’oro e di altri metalli.

Lui ovviamente sapeva bene che l’uscita sarebbe stata definitiva, in realtà lo sapevano tutti, per cui ci poniamo alcune domande sulle incongruenze di questa situazione:

• se gli Ebrei, come vuole fare credere la Bibbia, erano schiavi, come potevano pensare di chiedere e ottenere dai propri persecutori oro e altri oggetti fatti di metalli vari?

• Data l’evidente impossibilità di averlo con semplice richiesta, non è forse corretto pensare che abbiano venduto i loro beni facendosi pagare con oggetti di metallo prezioso?

• Ma gli schiavi possiedono beni liberamente vendibili?

• Questo commercio poteva essersi intrattenuto con il basso popolino o non dobbiamo piuttosto pensare che a disporre di oro in varie forme fossero le classi egizie agiate?

• Se così era, perché la Bibbia non dà conto della reazione degli egizi, che pare abbiano tranquillamente – miracolosamente? – assecondato le richieste di quella gente che stava per partire?

• Perché caricarsi di un simile peso nella prospettiva di dovere fuggire e avendo la certezza di essere inseguiti?

• Perché caricarsi di un tale peso in prospettiva di fare un viaggio in una landa disabitata nella quale non vi erano certo possibilità d’intrattenere scambi commerciali tali da giustificare un simile accumulo?

(Vedremo tra breve la quantità di oro di cui sono arrivati a disporre).

• A che cosa doveva servire dunque?

Riprendiamo il racconto: la massa dei fuggitivi attraversa il mare di canne (yam suf) in cui si impantanano gli inseguitori, prosegue il cammino e, conseguita la certezza della definitiva libertà, inizia l’organizzazione del campo, degli spostamenti, della vita quotidiana in quell’ambiente nuovo e probabilmente di non facile vivibilità.
Yahweh da parte sua non perde tempo, impartisce una serie di norme atte a regolare, e imporre, la convivenza e inizia la raccolta dell’oro ordinando al popolo, per il tramite di Mosè, di fare un’offerta a suo favore.
Per la verità la successione degli eventi relativi alle requisizioni forzose, o donazioni più o meno volontarie, non è sempre chiarissima, ma ciò che conta è la sostanza dell’intera operazione nel suo complesso.

In Esodo 25,1 egli chiede espressamente oro, argento e bronzo; richiesta ripetuta in Es 35,4 fino a che la quantità consegnata non viene dichiarata sufficiente (Es 36,7).
Nel frattempo però succede un fatto che il testo non descrive ma capiamo che fa irritare l’Elohim, o forse potremmo dire che Yahweh crea l’occasione per irritarsi: egli rimprovera il popolo, lo definisce di “dura cervice” e gli ordina di privarsi degli ornamenti. Il versetto di Esodo 33,6 dice che i figli di Israele:


La raccolta dell’oro da parte di Yahweh era evidentemente un’esigenza costante.
Vari brani ne descrivono gli utilizzi.

• Esodo 25,23 e segg.: "Farai una tavola per la presentazione dei pani… la ricoprirai d’oro puro e le farai un bordo d’oro… e farai delle traversine e farai a esse un bordo d’oro… farai quattro anelli d’oro… farai le stanghe in legno d’acacia e le ricoprirai d’oro… farai in oro puro i piatti, le coppe, le anfore e le tazze…".

• Esodo 25, 31 e segg.: "Farai un candelabro d’oro puro…".
• Es 30,1 e segg.: "Farai l’altare per far fumare l’incenso… ricoprirai d’oro puro il piano superiore, i lati intorno e i corni… farai una bordatura d’oro… due anelli d’oro sotto la bordatura…".

Tutti questi arredi – con le suppellettili annesse – erano destinati alla dimora di Yahweh e al suo utilizzo personale: dovevano essere disponibili ogni volta che decideva di stabilirvisi per un qualche periodo.
Comprendiamo quindi che l’oro aveva una valenza speciale, non certo limitata al suo puro valore di scambio commerciale. Peraltro non ci sono nell’Antico Testamento testimonianze che documentino scambi con altre popolazioni tanto intensi da giustificare un tale accumulo di ricchezza. 

Possiamo intanto pensare che la requisizione del metallo prezioso, unitamente a quella delle altre suppellettili realizzate in argento o bronzo, abbia garantito il raggiungimento di un obiettivo importante: sottrarre la ricchezza a quella gente, concentrarla nelle mani della struttura di comando e togliere così ogni velleità e possibilità concreta di secessioni o abbandoni. Senza valori con cui scambiare le merci come avrebbero potuto procurarsi cibo, granaglie, pagare il transito nei territori occupati da altri, garantirsi l’accesso a pascoli o pozzi che non fossero sotto il controllo diretto di Mosè cui erano con ogni probabilità concessi da suo suocero?
Spogliati di tutto non potevano andarsene, erano costretti a seguire quella ricchezza concentrata nella dimora di Yahweh da cui dipendevano.
(...)

Ma questo potrebbe essere solo uno dei motivi che portò alla spogliazione del popolo.
Non dobbiamo dimenticare che le proprietà tipiche di quel metallo ne possono spiegare anche in altro modo l’importanza: è duttile, malleabile, incorruttibile, non arrugginisce, inalterabile, omogeneo, buon conduttore di calore e di elettricità, non facilita lo sviluppo di batteri sulla sua superficie.

Ne possiamo quindi comprendere la scelta preferenziale da parte di un essere come Yahweh che aveva, tra le altre, la necessità di vivere in un ambiente che fosse il più asettico possibile, data la sua natura assolutamente diversa ed estranea rispetto al popolo. Una diversità che comportava rischi non indifferenti, come ben sa chiunque si rechi a fare viaggi in paesi in cui l’igiene non corrisponde ai canoni cui è abituato.

Tornando all’oro, leggiamo che la parte interna del Tempio in cui era conservata l’Arca dell’Alleanza, e che era a lui riservata, doveva essere rivestita con il prezioso metallo, come ci ricordano alcuni passi biblici:

• 1Re 6,19 e segg.: "Salomone fece la cella del tempio per custodire l’Arca dell’Alleanza e la rivestì di oro finissimo … rivestì di oro tutto il tempio e tutto l’altare che era di fronte alla cella".

• 1Re 7,49-50 e 2Cr 4,20 e segg.: "Salomone fece preparare tutte le suppellettili del tempio … l’altare d’oro, la tavola d’oro per i pani, i candelabri … i fiori, le lampade, gli smoccolatoi, le patere, i coltelli, i vassoi, le bacinelle, i mortai, gli incensieri, i bracieri, anche i cardini per i battenti erano d’oro … e di oro erano anche le porte interne che conducevano nella navata e nella parte più interna del tempio".

Tornando quindi alla vicenda della fuga dall’Egitto e della permanenza nel Sinai, ci domandiamo:

Quanto oro hanno accumulato gli Israeliti quando hanno spogliato gli Egiziani, come dice la Bibbia?

La risposta ci è fornita da Esodo 38,24: "Tutto l’oro impiegato per il lavoro, in tutta la costruzione del santuario, fu di 29 talenti e 1775 sicli, del siclo del santuario".
Il talento aveva un peso variabile dai 34 fino ai 43 kg; ancora più difficoltoso è determinare con precisione il peso del siclo, che poniamo convenzionalmente intorno ai 10 grammi.
Abbiamo dunque 29 talenti di 38 kg circa (un peso medio tra i 34 e i 43) e 1775 sicli di 10 grammi, per un totale approssimativo di 1120 kg di oro!
Sono fuggiti dall’Egitto portando con sé più di una tonnellata d’oro che era anche molto scomodo da stoccare e trasportare, perché non era compattato in lingotti ma lavorato in monili, vasellame e utensili vari.
A questo dobbiamo aggiungere più di 100 talenti d’argento e più di 70 talenti di bronzo, per un totale complessivo (oro, argento e bronzo) di circa 7600 kg:
7 tonnellate e mezza di metalli che quella gente si portava nel deserto in attesa del suo utilizzo.

Metalli regolarmente contabilizzati: nulla doveva sfuggire al controllo del potere esercitato da Yahweh, Mosè e Aronne.


Il Vitello d’oro 

Un fatto però desta l’attenzione del lettore per una serie di strane

incongruenze: la vicenda del cosiddetto Vitello d’oro.
Diciamo subito che si presenta con le caratteristiche di un evento preordinato e studiato nei particolari da parte di chi deteneva il controllo e aveva la necessità di accumulare oro anche per fini che probabilmente non potevano essere dichiarati.
Gli autori biblici dimostrano di avere conoscenza dei metalli raccolti e del loro impiego palese nella costruzione della dimora di Yahweh, dell’arredamento e delle varie suppellettili, ma qualcosa pare essere sfuggito alla contabilizzazione.
La vicenda è narrata nel capitolo 32 dell’Esodo e inizia con Mosè che si trova sulla montagna per incontrare l’Elohim e riceverne leggi e regole da trasferire a quell’insieme di individui che i due stavano faticosamente cercando di trasformare in un popolo vero, con una vita organizzata e regolamentata da tutte quelle norme che rendono possibile la convivenza civile.

Mosè rimane sul monte per un tempo che al popolo sembra eccessivo e inspiegabile; molti si radunano attorno ad Aronne – il sommo sacerdote, il primo responsabile del culto e del servizio dovuto a Yahweh  – per chiedergli spiegazioni.

Torniamo alla vicenda e al comportamento strano e inspiegabile che Aronne tiene in risposta alla richiesta del popolo di rivolgersi ad altri Elohim, tradendo di fatto Yahweh.

Accade ciò che non ci si aspetterebbe: Aronne accondiscende immediatamente.
Riceve la richiesta e, con immediata e incomprensibile naturalezza, si rivolge al popolo e dice (versetto 2): "Staccate gli anelli d’oro pendenti dalle orecchie delle donne, dei figli e delle figlie".
Si fa consegnare tutto con estrema rapidità. Il popolo esegue immediatamente e l’oro che non era stato richiesto per la dimora con tutti i suoi annessi viene fuso in una forma per produrre il vitello: il simulacro degli Elohim da adorare richiesto dai rivoltosi.
Inizia l’insieme dei riti e dei festeggiamenti.
A quel punto Yahweh invita Mosè a scendere dal monte e gli comunica pure la sua intenzione di intervenire punendo duramente i colpevoli di tutto ciò. L’autore biblico narra che Mosè intercede per il popolo, riesce a mitigare l’ira del suo Elohim, scende dalla vetta e raggiunge l’accampamento.
Nel vedere quanto sta succedendo si accende di rabbia, scaglia a terra le tavole con i comandamenti, frantuma il Vitello d’oro, lo riduce in polvere, la sparge sulla superficie dell’acqua (la Bibbia non precisa dove fosse quest’acqua) e poi la fa bere al popolo. Subito dopo esprime tutto il suo (apparente?) risentimento nei confronti di Aronne, accusandolo di avere lasciato che il popolo deviasse dal culto dell’unico Elohim cui si dovevano rivolgere.
Poi compie un atto strano e decisamente contraddittorio. Abbiamo visto che poco prima aveva convinto Yahweh a non intervenire contro i rivoltosi e ora si pone all’ingresso dell’accampamento e urla a gran voce (Esodo 32,25-28).
Si radunano davanti a lui tutti i figli di Levi che ricevono un ordine preciso: "Così dice Yahweh: ciascuno metta la spada al fianco, passate e ripassate da una porta all’altra nell’accampamento e uccidete chi suo fratello, chi il suo amico, chi il suo vicino".
La carneficina produce in quel giorno ben tremila morti (versetto 28). Abbiamo dunque una strana successione di eventi: prima Mosè apparentemente convince Yahweh a non intervenire, poi lo stesso Mosè trasmette un ordine del suo comandante (cioè lo stesso Yahweh) e fa uccidere tremila uomini.
A fronte di quella carneficina registriamo un’inspiegabile stranezza: Aronne, niente meno che il sommo sacerdote colpevole di avere immediatamente assecondato il popolo e di non avere fatto nulla per fermarlo, non viene neppure punito.
Anzi, a ben vedere, è stato proprio lui stesso a decidere di fare un Vitello d’oro; il popolo aveva chiesto genericamente di "fare degli Elohim che camminassero davanti a loro".

Eppure il versetto 35 dice che Yahweh in quel giorno "colpì il popolo perché avevano fatto il vitello, fuso da Aronne". Davvero inspiegabile il senso di giustizia di quel “Dio”.

Le stranezze dunque non mancano, ma ciò che colpisce in modo particolare è il fatto che l’oro utilizzato per realizzare l’idolo in forma di vitello venga così banalmente disperso: il testo ci dice che fu polverizzato, messo nell’acqua e fatto bere a un popolo che doveva essere in realtà punito.

• Perché sciupare quel metallo così prezioso?

• Perché gettare ciò che tanto faticosamente era stato raccolto in Egitto e trasportato nel corso di un viaggio non certo agevole?

Annotiamo che le raccolte o donazioni più o meno spontanee descritte in vari capitoli del libro dell’Esodo erano tutte regolarmente registrate con una precisione che definiremmo ragionieristica: l’utilizzo del metallo era quindi sotto il controllo di supervisori che ne segnavano peso, quantità e relativo impiego.


Ci poniamo quindi ulteriori domande:

• La vicenda del Vitello d’oro fu una sorta di prova generale per misurare la disponibilità di quelle genti a consegnare spontaneamente i loro metalli preziosi?

• Fu abilmente preordinata per portare allo scoperto potenziali dissidenti o rivoltosi ed eliminarli in modo così esemplare?

• Fu una vera e propria trappola ordita per procedere con un’epurazione drastica?
• Oppure c’era forse la necessità di avere dell’oro da destinare a utilizzi che il popolo non avrebbe compreso e tanto meno condiviso?

Ecco gli eventi che fanno pensare:

• Mosè si intrattiene sul monte per un tempo che va oltre l’accettabile.

• Nell’accampamento alcuni cominciano a mormorare e il malcontento si diffonde.

• Il popolo si ribella e chiede ad Aronne nuovi Elohim da seguire.

• Aronne accondiscende immediatamente senza compiere alcun tentativo di dissuasione.

• Si raccoglie l’oro che gli ebrei consegnano immediatamente, dietro

semplice richiesta di Aronne.

• Si fonde un simulacro.

• Non appena questo evento si verifica Mosè, che da molto tempo era sul monte, risulta essere immediatamente pronto a scendere con le tavole della legge perfettamente compilate.

• Mosè interviene e fa uccidere alcune migliaia di persone.

• Aronne non viene punito.

• Il vitello viene distrutto.

• L’oro usato per la statua viene polverizzato e scompare nell’acqua che viene fatta bere (!?) al popolo ribelle.

Ulteriori domande:

• Perché Mosè rimane sul monte a lungo e solo quando il vitello è realizzato risulta essere immediatamente pronto a scendere con le leggi già scritte da Yahweh sulle tavole?

• Visto che lui era salito sul monte proprio per ricevere dal suo Elohim istruzioni, norme, leggi ecc. perché non è sceso prima, stante il fatto che le tavole risultano chiaramente essere già pronte nel momento in cui Mosè decide di scendere?

• Perché Yahweh ha atteso che il vitello fosse realizzato prima di dire a Mosè che era giunto il momento di intervenire?

• Non si poteva agire prima che gli eventi precipitassero fino al punto da fabbricare un nuovo “Dio” da seguire?

• Non sarebbe stato sufficiente far scendere Mosè nel momento in cui Yahweh si stava accorgendo che il malcontento del popolo diveniva potenzialmente pericoloso?

• Ma era forse proprio questo che si voleva?

• Si fece in modo di creare il pretesto per raccogliere oro da usare per scopi diversi da quelli ufficiali e che non dovevano essere controllati e giustificati?

• Aronne non è stato punito semplicemente perché era parte integrante di questa strategia visto che non ha frapposto alcuno ostacolo, ma ha immediatamente esaudito la richiesta dei rivoltosi ordinando loro di portare subito l’oro che era in possesso dei vari gruppi famigliari?

• Perché far sparire in un modo tanto plateale un metallo così prezioso?

• Dati questi indizi, possiamo essere certi che la polvere che il popolo vide gettare nell’acqua che poi avrebbe bevuto fosse veramente polvere di oro? Ma anzi, chi dice che il popolo l’abbia vista gettare nell’acqua?

• E se anche Mosè avesse veramente gettato l’oro in vasche di acqua, noi ci chiediamo: si può sciogliere in acqua l’oro che, dato il suo peso specifico, scende immediatamente a fondo, come bene sanno i cercatori che setacciano i fiumi?

Questa serie di indizi e dubbi consentono veramente di ipotizzare l’esistenza di una strategia precisa, finalizzata a sottrarre l’oro senza procedere con richieste che avrebbero forse trovato l’opposizione del popolo.

Yahweh, Mosè e Aronne avrebbero quindi potuto ordire questo piano che appare realizzato alla perfezione, proprio in tutti quei particolari che costituiscono per noi motivo di sospetto perché non comprensibili in una normale successione degli eventi: troppe stranezze, troppe coincidenze.
Non ultima l’eliminazione dei 3000 rivoltosi. Anche questo evento pare essere uno dei risultati previsti dalla strategia: liberarsi di oppositori scomodi, quelli che mettevano in discussione la posizione di comando di Mosè e disseminavano il malcontento nell’accampamento. Il libro dell’Esodo dà spesso conto delle difficoltà che Mosè incontrava nel gestire quel popolo che non perdeva occasione di lamentarsi della situazione penosa in cui viveva nel deserto e ricordare invece di come stesse bene quando era in Egitto e aveva cibo e una casa (a ulteriore riprova del fatto che non erano evidentemente in situazione di schiavitù, come già abbiamo rilevato in precedenza).


• A che pro impossessarsi di questo oro sottraendolo alla precisa contabilità ragionieristica che abbiamo rilevato prima?

Per rispondere a questa domanda ricordiamo il contesto e le vicende pregresse: ci troviamo nel capitolo due dell’Esodo, di cui riassumiamo le vicende ben note.

Secondo il racconto biblico Mosè vive in Egitto sin dalla sua nascita: salvato dalle acque viene curato, cresciuto ed educato a corte dalla figlia del Faraone. Tutta la sua vita è quindi caratterizzata da un’educazione e preparazione culturale, civile e religiosa, tipicamente egiziane. (...)
Non abbiamo elementi sufficienti per provare questa o quella tesi e dunque ci limitiamo a quanto la Bibbia consente di ipotizzare.

(...) 

La tomba di Mosè

Per la Bibbia Mosè era dunque un egiziano: era stato educato alla corte, se non propriamente del faraone, almeno di un suo governatore locale; chi lo vedeva lo identificava come tale e va detto che le tribù madianite erano strettamente imparentate con i figli d’Israele perché i loro componenti erano diretti discendenti di Abramo e della sua concubina Cheturà (Gen 25,2): pertanto ci si sarebbe attesi che almeno loro riconoscessero l’appartenenza etnica alla loro stirpe, ma l’aspetto egiziano di Mosè doveva essere evidentissimo.
Ciò che ci interessa qui è però soprattutto rilevare che Mosè aveva necessariamente cultura e credenze egizie, a proposito delle quali ricordiamo l’importanza assoluta che esse attribuivano alla tomba, il cui allestimento era garanzia per l’ipotetica vita futura: doveva essere ricca, contenere varie suppellettili e non vi poteva mancare l’oro. Pensiamo di non essere lontani dal vero nell’ipotizzare che questa fosse una delle preoccupazioni di Mosè:

• Come garantirsi una sepoltura adeguata? Come procurarsi l’oro necessario?

Non poteva certo chiederlo apertamente a quel popolo che lui stava conducendo tra mille difficoltà e innumerevoli rischi alla conquista di un territorio.
Era gente di “dura cervice”, ricorda ripetutamente il testo biblico; un popolo sempre pronto alla ribellione; facile al tradimento; un’accozzaglia di individui il cui governo e controllo richiedeva maniere forti, compreso l’assassinio di massa, come abbiamo visto. Mosè non poteva certo pensare di chiedere in via amichevole dell’oro al solo scopo di utilizzarlo per la sua tomba personale.
Non glielo avrebbero mai concesso e allora non rimaneva che sottrarlo.

L’ipotesi è che, in accordo con Yahweh e Aronne, si sia organizzato il modo per raccogliere una certa quantità di metallo, sottraendolo al controllo di coloro cui veniva sottoposto quello usato in via ufficiale per la dimora e le suppellettili.
Yahweh decide di riconoscere al suo “luogotenente generale” la possibilità di soddisfare questa sua esigenza: in fondo era un premio ampiamente meritato.
Si crea l’occasione per una ribellione, magari la si fomenta ad arte; si accondiscende immediatamente alle richieste dei rivoltosi; si raccoglie l’oro; si fonde un simulacro; lo si distrugge facendo poi credere al popolo di avergli dato da bere l’oro diluito nell’acqua come punizione.
E il gioco è fatto.
Fantasia? Può darsi. Ma c’è un ulteriore elemento che induce a riflettere: le stranissime modalità della morte di Mosè. Nel capitolo 32 del Deuteronomio sono raccontate con grande laconicità. Si narra che Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo di fronte a Gerico.  (...)
Abbiamo quindi una situazione colma di stranezze. Mosè muore mentre è ancora nel pieno del suo vigore (Deuteronomio 34,7); la sua morte si presenta senz’ombra di dubbio come preordinata e nessuno sa dove sia la tomba di colui che, di fatto, è il vero e unico fondatore del popolo dei figli di Israele.
Ci viene facile pensare che tutto fosse stato preordinato con uno scopo preciso: non far conoscere a nessuno la localizzazione di quella tomba che era evidentemente addobbata secondo le tradizioni egizie e dunque anche con l’oro che era stato sottratto nel modo che abbiamo ipotizzato.

Questo poteva ben essere un premio che Yahweh aveva riservato al suo fedelissimo collaboratore.
Forse l’oro aveva anche altri utilizzi, ma il contenuto del Codice Masoretico di Leningrado, cui ci atteniamo per scelta metodologica, non consente di elaborare in modo fondato ulteriori ipotesi.
    
     Mauro Biglino

   (paragrafi tratti dal suo libro "Non c'è creazione nella Bibbia" pubblicato nel 2012)

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